Re-Re-Re

Ti serve davvero? Quello da sapere sul fast fashion

Iniziamo con il termine consumismo:
“Fenomeno economico-sociale, tipico dei paesi a reddito elevato ma presente anche nei paesi in via di sviluppo, consistente nell’aumento dei consumi per soddisfare i bisogni indotti dalla pressione della pubblicità e da fenomeni di imitazione sociale diffusi tra ampi strati della popolazione..”

Questo fenomeno è ciò che porta avanti le vendite e l’arricchimento di ogni industria multinazionale; sono sempre più le persone che sostituiscono prodotti nuovi e funzionanti con beni di ultimo modello solo per stare al passo con le mode.

Quali sono le cause maggiori di questo nuovo fenomeno?

In primo luogo si può parlare della necessità di sentirsi accettati dalla società in cui viviamo oggi, che non ci permette di soddisfare il nostro desiderio di affermarci. L’esasperazione dei consumi provoca veri e propri sprechi sociali ed ha, inoltre, delle sfaccettature negative sull’ambiente, primo fra tutti, l’inquinamento. Infatti lo spreco sistematico crea montagne di rifiuti non degradabili che inquinano l’ambiente e i prodotti usa e getta o la produzione di beni destinati ad avere un ciclo di vita breve di certo non garantiscono un utilizzo efficiente e funzionale delle risorse, è quindi inevitabile un aumento di emissioni inquinanti e del consumo esagerato di risorse.

Le vere vittime del consumismo non sono solo gli adulti ma soprattutto i bambini che ricevono messaggi da spot pubblicitari in televisione o dai social media attraverso gli smartphone, per quanto riguarda invece la fascia adolescenziale avviene molto frequente che i giovani siano influenzati del fast fashion, ovvero, una moda veloce. Questo tipo di produzione presenta diversi aspetti negativi: produce quantità eccessive di rifiuti e inquinamento, sfrutta i lavoratori e riduce la qualità del suolo, del cibo e dell’acqua del nostro Pianeta. Inoltre, i capi risentono fortemente del prezzo così basso, finendo per essere creati con tessuti scadenti.

Tuttavia, ciò viene fatto a scapito delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Infatti, la maggior parte dei vestiti è progettata in Bangladesh o in Pakistan, là dove la manodopera è più economica. Le aziende di fast fashion, come Shein, offrono una vasta gamma di prodotti di tendenza a prezzo bassissimo e spingono i consumatori ad acquistare sempre di più.

Secondo il marchio, vengono lanciati 500 nuovi articoli di abbigliamento al giorno e la spiegazione data sul sito, evidenzia il testamento di un prodotto con una tiratura di soli 50-100 pezzi e, se si vede che la tendenza prende piede, la produzione inizia ad essere di massa.

Tuttavia dietro il prezzo conveniente si creano numerosi problemi riguardanti la produzione, la qualità dei prodotti, le condizioni di lavoro e l’impatto ambientale: infatti solo nel 2015, l’industria dell’abbigliamento, ha infatti creato 92 milioni di tonnellate di acque reflue (contaminate) portando all’inquinamento delle nostre fonti idriche e del suolo.

I danni causati dalla fast fashion sono davvero tanti, ma per fortuna sembra che in tutto il mondo qualcosa si stia muovendo e sempre più aziende stanno prestando attenzione all’impatto della fast fashion sul nostro pianeta.

Un esempio evidente è stato testimoniato anche da uno dei peggiori disastri nella storia del fast fashion: il crollo del Rana Plaza nell’aprile del 2013 che ha messo in luce le condizioni disumane del settore tessile operativo dietro a marchi come Pull and Bear, Zara o Benetton. Per invertire queste tendenze è importante adottare uno stile di vita che rispetti le tre R ovvero (RE-RE-RE) ridurre, riusare, riciclare.

Ecco alcune linee guida da seguire:
Acquista vintage (vinted, depop, armadio verde, micolet)
Comprare da brand italiani
Informati prima di acquistare!
Acquista in negozio
Riduci il tuo guardaroba (vendi quello che non usi più)
Evita tessuti sintetici

Buone Notizie

Soluzioni alternative alla plastica

Al giorno d’oggi utilizziamo materiali plastici in qualsiasi ambito e occasione, tuttavia questo non è un bene per l’ambiente. Bisogna, quindi, cercare di provvedere in qualche modo.

Noi proponiamo delle soluzioni alternative da poter applicare in casa e nella vita di tutti i giorni: anziché utilizzare stoviglie di plastica, si può ricorrere a piatti in ceramica, posate in acciaio o a stoviglie compostabili, che in fase di smaltimento riducono di molto le emissioni di CO2, e non hanno nella loro composizione alcun derivato del petrolio.

Per risparmiare ma, soprattutto, per evitare di inquinare, possiamo scegliere di riempire delle borracce con l’acqua che sgorga dal rubinetto della cucina o utilizzare anche delle caraffe con il filtro, facilmente reperibili e dal costo contenuto, per diminuire la produzione e spreco delle bottigliette di plastica.

Un altro esempio sono i spazzolini in plastica che impiegano 1000 anni a decomporsi, e per questo possiamo scegliere di acquistare degli spazzolini in bambù, imballati in cartone riciclato. Stessa cosa vale per i pettini e i bastoncini in bambù, alternative valide e ecologiche.

Anche per la conservazione dei cibi esiste una buona pratica da seguire: invece di coprirli con la pellicola di plastica o di alluminio, possiamo usare barattoli in vetro, insalatiere oppure pellicole ecologiche. Tra queste consigliamo Beeopak, una pellicola alimentare ecologica a base di cera d’api biologica che conserva i cibi freschi a lungo e rende il tessuto lavabile, riutilizzabile così per più di 1 anno.

La maggior parte della nostra selezione di cosmetici è confezionata in plastica principalmente per ragioni di praticità, ma ci sono alcuni prodotti reperibili in contenitori di vetro, l’alternativa migliore. E per struccarsi? Esistono diversi dischetti lavabili in cotone biologico e molto più economici dei dischetti usa e getta.

Parliamo invece della decarbonizzazione in Italia. L’azione di decarbonizzazione mira a passare quanto prima dall’uso di combustibili fossili come carbone, gas naturale o petrolio a fonti di energia rinnovabili e prive di emissioni di carbonio.

In Italia poco più del 30% dei rifiuti plastici viene destinato al riciclo. Media ancora molto bassa, che la strategia europea sulla plastica proverà ad aumentare. Adottata nel gennaio del 2018, la strategia prevede che entro il 2030 tutti gli imballaggi in plastica immessi sul mercato europeo dovranno essere riutilizzabili o riciclabili in modo efficace, anche sotto il profilo dei costi.

Secondo Ecco, le bioplastiche rappresentano una soluzione per la decarbonizzazione di quelle applicazioni in cui non è possibile un’eliminazione dell’imballaggio monouso.

Specialmente in Italia la filiera della decarbonizzazione negli anni si è sviluppata molto rappresentando il 6% del mercato in termini di produzione, con un fatturato di 815 milioni di euro.

 

Riviera

Come riutilizzare le colonie della nostra riviera?

Le colonie bolognesi sono nate negli anni ’30 come risposta alle difficili condizioni di vita di molti bambini e giovani della città. Inizialmente, venivano organizzate per i bambini bisognosi o per coloro che non avevano la possibilità di trascorrere le vacanze altrove. Tuttavia, nel corso degli anni, le colonie si sono aperte a un pubblico più ampio, accogliendo anche bambini provenienti da famiglie più agiate.

 

Le strutture delle colonie bolognesi erano dotate di alloggi, cucine, refettori, spazi per attività ricreative e sportive. I bambini venivano supervisionati da un personale qualificato, cui educatori e animatori, che organizzavano una serie di attività per intrattenere e coinvolgere i ragazzi durante la loro permanenza. Le colonie diventarono molto popolari e rappresentavano un’importante occasione di socializzazione e svago: i bambini potevano godere del contatto con la natura, partecipare a escursioni, fare sport e prendere parte a laboratori e attività culturali.

Negli anni, il concetto di colonie estive è cambiato e si sono diffuse altre forme di vacanza, tuttavia hanno mantenuto una certa rilevanza e sono rimaste una tradizione nel territorio della città.
Le colonie bolognesi potrebbero essere riutilizzate in diversi modi, a seconda delle esigenze e delle opportunità del contesto attuale.

Ecco alcune possibili alternative:
Centri educativi: potrebbero essere trasformate in centri educativi estivi, offrendo programmi che combinano attività ricreative, sportive, artistiche e culturali. Questo tipo di riutilizzo consentirebbe ai bambini di imparare e divertirsi durante le vacanze estive, promuovendo l’apprendimento e lo sviluppo personale.
Centri per attività all’aria aperta: Si potrebbero adattare per diventare centri per attività all’aria aperta, come campeggi o luoghi per escursioni. Ci sarà la possibilità di organizzare percorsi naturalistici, avventure di orienteering, arrampicate e altre attività che incoraggiano il contatto con la natura e lo sviluppo di abilità all’aperto.
Residenze per artisti e creativi: Le colonie potrebbero essere ristrutturate per diventare residenze per artisti, scrittori o creativi di varie discipline. Il loro riutilizzo offrirebbe un ambiente tranquillo e stimolante per la produzione artistica, consentendo agli artisti di trascorrere un periodo di tempo concentrato sulla loro pratica creativa.
Centri di formazione e laboratori: Le colonie potrebbero essere utilizzate come centri di formazione e laboratori per varie attività, come corsi di musica, danza, teatro, fotografia o cucina. Questo consentirebbe alle persone di partecipare a programmi di apprendimento specializzati e di sviluppare nuove competenze e passioni.
Centri di accoglienza per rifugiati o famiglie in difficoltà: Le colonie potrebbero essere trasformate in centri di accoglienza temporanea per rifugiati o famiglie in difficoltà. Il loro riuso potrebbe offrire un luogo sicuro e confortevole per coloro che hanno bisogno di assistenza e supporto durante un periodo di transizione.

In conclusione vogliamo dire che queste colonie possono essere una risorsa molto importante per la nostra riviera e possono essere sfruttate in diverse maniere anziché lasciarle in disuso e in uno stato di abbandono.

Buone Notizie

ADDIO PLASTICA: ECCO LE NUOVE SOLUZIONI!

L’UE DICHIARA GUERRA ALLA PLASTICA MONOUSO

L’Europa è la prima a intervenire incisivamente su un fronte che ha implicazioni mondiali

E’ ufficiale: il 2021 sarà l’anno della svolta. Così, infatti, la Commissione Europea ha dichiarato apertamente la buona notizia il 28 maggio 2018, vietando i 10 prodotti di plastica mono-uso che più inquinano i mari d’Europa e che insieme rappresentano il 70% dei rifiuti marini.

Ecco cosa prevedono le nuove norme europee:

  • Divieto di commercializzare determinati prodotti: esso si applicherà a bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, mescolatori per bevande e aste per palloncini. Tutti questi oggetti saranno fabbricati con materiali sostenibili e i contenitori per bevande saranno accettati solo se i tappi e i coperchi rimarranno attaccati ad esso;
  • Obiettivi di riduzione del consumo: gli Stati membri potranno ridurre l’uso della plastica fissando obiettivi nazionali e mettendo a disposizione prodotti alternativi o impedendo che i prodotti mono uso siano forniti gratuitamente.
  • Obiettivi di raccolta: entro il 2025 gli Stati membri dovranno raccogliere il 90% delle bottiglie di plastica usa e getta introducendo, ad esempio, sistemi di cauzione/deposito.

Inoltre, il 5 giugno, per celebrare la giornata mondiale dell’ambiente, la Commissione lancerà anche una campagna di sensibilizzazione a livello di Ue per puntare i riflettori sulla scelta dei consumatori e sul ruolo che hanno i singoli cittadini nella lotta contro l’inquinamento da plastica e i rifiuti marini.

PLASTICSEUROPE: UN’ECONOMIA SOSTENIBILE.

 

La Commissione europea intende trasformare l’Europa in una più circolare e sostenibile economia efficiente.

È in questo spirito di impegno per le generazioni future, che PlasticsEurope ha deciso di creare un
serie di obiettivi ambiziosi e iniziative fino al 2030.
L’Impegno volontario si concentra sulla prevenzione della perdita di materie plastiche
nell’ambiente, migliorando l’efficienza delle risorse e la circolarità delle materie plastiche come
imballaggi.
PlasticsEurope mirerà a raggiungere l’obiettivo di riutilizzo, riciclaggio e recupero al 100%
di tutti gli imballaggi in plastica nell’UE-28, in Norvegia e in Svizzera entro il 2040.

MANGIAMO CIO’ CHE INDOSSIAMO: SOLUZIONI?

 

Abbiamo notato un problema: ogni volta che facciamo il bucato, i nostri vestiti versano minuscole microfibre invisibili, composte da plastica. Queste scendono nelle fogne delle nostre lavatrici e nei nostri corsi d’acqua, e molti di noi non lo sanno nemmeno! C’è plastica che si nasconde nei nostri corsi d’acqua e nell’oceano e questo non è eccezionale per gli animali che vivono in quelle acque o per noi.

Ecco la soluzione che il mercato statunitense sta lanciando a prezzi accessibili:

Cora ball

 

La Cora Ball è un nuovo tipo di palla da bucato. Ispirato dal modo in cui i coralli filtrano l’oceano, Cora Ball raccoglie le microfibre degli indumenti, così da poterle smaltire nel modo giusto. Insieme, teniamo queste microfibre fuori dai nostri corsi d’acqua e dal nostro oceano. Sì! Basta lanciare la Cora Ball nella lavatrice. È un semplice passaggio che ha un forte impatto dopo il lavaggio.

Se il 10% delle famiglie statunitensi usa una palla Cora, possiamo mantenere l’equivalente di plastica di oltre 30 milioni di bottiglie d’acqua da ogni anno nei nostri corsi d’acqua pubblici.

E’ importante infine ricordarsi che…

“LE AZIONI PICCOLE E COLLETTIVE HANNO IL POTERE DI RAGGIUNGERE GRANDI RISULTATI”